Centrale ferma, il Colmeda rinasce, ma i lavori per la centrale danneggiano la natura

dal corriere degli alpini 14 luglio 2010

PEDAVENA (bl). Cascate e salti d’acqua, schiuma, vapori e schizzi. Lo
scroscio del Colmeda fa da sottofondo ad una stagione di trionfo
per l’ecosistema della val di Faont. Da quando un mese fa l’Acsm ha
spento gli interruttori della centrale idroelettrica per
ammodernare gli impianti, e smontato le prese di captazione dell’acqua,
restituendo al torrente la sua portata naturale, l’intera vallata
ha cominciato un viaggio indietro nel tempo. Mai a luglio il Colmeda
era stato così pieno, mai il clima nei boschi intorno così fresco.
Mai la natura intorno così rigogliosa.  E’ qui che sindaci e
amministratori della Pedemontana dovrebbero fare una passeggiata, oggi e
magari anche fra due mesi, per riflettere sul progetto della
nuova centrale di Busche. Risalire il fiume, fino alla sorgente, per
rendersi conto di qual è la differenza fra un torrente vivo e uno
in agonia, mantenuto in vita con un deflusso minimo vitale che
garantisce a malapena quello che da queste parti chiamano «effetto sassi
umidi».  Che si tratti di un prodigio passeggero, di un miracolo
destinato a svanire in fretta, lo annunciano le nuove condotte
dell’Acsm, posteggiate ordinatamente davanti alla centrale. Sono
tubi del diametro di sessanta centimetri, quindici in più di quelli
vecchi, frettolosamente smontati e ancora più rapidamente portati
via dalla valle, qualche giorno fa. Il lavoro di rimozione delle
vecchie tubazioni non è stato indolore per quest’area protetta, che è
zona di protezione speciale. I mezzi di Acsm hanno puntato dritto
all’obiettivo, risalendo e spianando pareti, tagliando alberi,
trascinando i tronchi e i tubi fino alle strade.
«E’ un lavoro che
avrebbero dovuto fare mesi fa, non in piena nidificazione degli
uccelli», protesta Marco Scapin, residente in val di Faont e
sentinella di questo angolo di paradiso a pochi minuti dalla città.
«E poi avrebbero potuto e dovuto tagliare le latifoglie, non tutte le
piante indiscriminatamente».  Del cantiere si sono accorti, loro
malgrado, anche i pedavenesi – soprattutto anziani – che avevano eletto
l’area picnic sulle rive del Colmeda, poco più in alto della
centrale, a punto-ristoro per le giornate più calde. Tavoli e
panche sono stati recintati, l’intera area oggi è praticamente
inaccessibile, perché l’azienda elettrica trentina la sta usando
come deposito di materiali e attrezzi. Quasi una beffa: ora che ci
sarebbe più bisogno di una boccata d’aria, qui non si passa.
Camion e ruspe sgasano intorno alla centrale.  Che il torrente sia vivo
come mai, invece, si sono accorti in fretta i pescatori. «Un paio
di settimane fa hanno rilasciato un po’ di trote, piazzato
cartelli di divieto di pesca e poi sono tornati dopo due giorni con le
loro canne», racconta Scapin. «Anche questo conferma
l’eccezionalità della situazione».  Costeggiare il torrente, in questi
giorni di quasi-piena, è uno spettacolo di rara bellezza. Sotto il
monolite più grande della Valbelluna, l’acqua arriva con la
potenza e l’energia di chi è stato liberato. E sull’alveo si stende una
nuvola di goccioline. La temperatura qui è di quasi dieci gradi
più bassa. E il rumore del fiume in certi punti può coprire la
voce.  Su, fino alla sorgente, il Colmeda si è ripreso spazi
dimenticati, sassi sui quali fino all’estate scorsa ci si poteva
sdraiare. «E’ tornato ad essere un torrente vero, vivo», dice Scapin.
 Non durerà. Ai confini tra la valle di Lamen e Norcen le ruspe
hanno già scavato il percorso delle nuove condotte, che sono più
capienti e quindi – si presume – in grado di prelevare una maggiore
quantità d’acqua. In poche settimane la centrale riprenderà a fare
il suo lavoro. Il Colmeda tornerà nel suo solito piccolo argine. E la
valle intorno alla sua vita minima garantita.  Cristiano Cadoni

 

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