Ma dove vai se il wellness non ce l’hai?

VEDI ANCHE: “Il tramonto delle identità tradizionali – Spaesamento e disagio esistenziale nelle Alpi”

il Corriere delle Alpi — 15 gennaio 2009

Alberghi a Sharm el Sheik, Grand Hotel ai piedi della Marmolada. Scusate, dov’è il problema? Chi ha soldi fa quello che gli pare. Non solo, fa anche come gli pare. Col tetto così, e la wellness colà. E potrebbe anche finire qui. E invece saltano su quelli che ci vogliono mettere lingua, a diverso titolo. In nome della salvaguardia del territorio, della conservazione dell’ambiente, della tradizione, dell’interesse della comunità, dello sviluppo locale, del turismo sostenibile, eccetera. Manca solo la salvezza della patria. Possibile? Cos’è, un rigurgito di buona (di)gestione? I guastafeste. A ben vedere questi guastafeste non si fanno vivi solo ora. Ci sono sempre stati, anche se hanno ululato al vento. C’erano già dieci, venti, trenta anni fa. C’erano persino un secolo e mezzo fa, i guastafeste. Artistoidi stravaganti come John Ruskin, che chiamava gli hotel alpini eretti tra le nevi, “la lebbra bianca” (era il 1865). Ma che metafora orribile. Che estremismo! Aristocratici con la puzza al naso. Come minimo antidemocratici. Perché signori miei, se non ci fossero stati gli alberghi di montagna a salvare l’economia, ora saremmo tutti emigrati in Argentina, scalzi, con le braghette stracciate. O no? Beh, chi più chi meno. O forse avremmo un’agricoltura di montagna che funziona… In ogni caso non sono mica i signori che ci chiedono la wellness.

La wellness è un’esclusiva per tutti; lo sa il cielo quanto ne abbiamo bisogno. Il benessere, cari criticoni, è popolare. Come ti paralizzo il privato. Auspicare una montagna nuda, sana, silenziosa, sobria, maestosa – in una parola naturale – è un reato d’opinione. Per una svista non è previsto dal codice penale, ma siamo ancora in tempo a riformarlo il vecchio codice. Altre punizioni sono riservate nei confronti di chi, per colpevole ignoranza, non ha mai accettato il progresso nel cemento armato. Dico per dire: Mountain Wilderness, SOS Dolomites, Cipra, Legambiente, Italia Nostra, Wwf, la Sat di Trento e altri gruppuscoli sovversivi. Praticamente spiantati, di sicuro marginali. Tutta gente un po’ squilibrata, da tenere alla larga dalla progettazione del futuro del nostro territorio. Alla larga dalla rappresentanza. Alla larga dalle decisioni. Che diamine, a furia di parlare in nome dell’interesse collettivo questi ambientalisti va a finire che ti paralizzano il privato. Oppure lo costringono a guardarsi in giro. Non vorrete mica che un imprenditore spenda i soldi per rovinare il paesaggio da un’altra parte? Un tizio strano. Tutto questo mi ricorda un tipo un po’ strano. A volte, quando lo incontravo, facevamo due chiacchiere. Un tizio che girava sempre con la macchina fotografica a tracolla e un sigaro in bocca. Lui non parlava tanto. Ha fatto qualche mostra, gli hanno pubblicato qualche libro, se li sarà pagati lui. Lo conoscevano anche fuori, oltre i confini regionali, dicono che lavorasse bene. Non era un ambientalista, era uno che fotografava la realtà. Si chiamava Flavio Faganello. Nel gennaio 1999 dichiarò in una intervista: “Ormai il Trentino sta diventando una Disneyland. Viviamo in funzione del vendere: c’è chi vende la neve, chi l’acqua, chi l’ambiente”. Ma nooo, gli dicevano gli altri, non essere pessimista, dai, e cominciavano a recitare il sacro mantra: territorio sviluppo identità, territorio sviluppo identità. Bisogna ripetere la formula molte volte perché alla fine perda completamente significato. Allora si accede a uno stato di coscienza superiore. Davvero illuminato. Come le piste di notte. Pentiti, sviluppisti, cagadubbi Chiedersi ora quale sia il futuro del turismo alpino pare quasi una beffa, eh Flavio? Cosa dici tu dall’Aldilà? Adesso? Non sono più domande da fare, benedetti benpensanti. E poi che domande sono, di destra o di sinistra? Se sono di destra, vengono da ambienti conservatori, Dio ce ne liberi, il mondo per fortuna va avanti. Se sono di sinistra vengono da tre distinte categorie di persone: pentiti, sviluppisti e cagadubbi. Basta con questi dubbi.  I soldi per gli impianti ci sono. I soldi per gli alberghi ci sono. I soldi per le strade ci sono. I soldi per i cannoni da neve che succhiano l’acqua dalla montagna ci sono. Queste sono le linee guida. Questa è la vera politica di sviluppo.  Farsi domande sul futuro del turismo alpino, adesso, è come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. E nel frattempo la stalla è diventata un residence.  I giochi sono fatti. Al di sopra delle aspettative. Inutile appellarsi ora a quelle comunità locali che, con lo spauracchio delle braghette stracciate, si sono vendute la neve sotto ai piedi. Biancheria e fighettopoli. Eppure ora, dopo dieci, venti, cento anni, ci troviamo ancora a interrogarci sul futuro del turismo alpino. Come se non fosse già stato tutto detto. Teorizzato. Dimostrato. Esemplificato. Previsto. Bocciato? Un momento, bocciato da chi? Dai soliti estremisti, ah beh allora avanti. Spettacoli pirotecnici sulla neve, rievocazioni quasi storiche, Brasil Show, kermesse gastronomiche, sfilate di biancheria intima (immacolata, eh), corse d’auto, artigianato tipico finto, cime livellate dalle ruspe, feste inventate, eliski per i vip, slide planet, ospitalità totale. Bello bello.  Verdi radure tra le abetaie profumate accolgono i lunapark gonfiabili. Bello.  Paesini di montagna diventati fighettopoli. Bello.  Stradoni asfaltati fin sotto gli skilift, perché l’importante è arrivare – e poi andarsene – più in fretta possibile. Giusto, no? Sto proprio well. Meravigliose Alpi. Brulicanti di talenti che dopo anni di duro studio progettano le opportune innovazioni. Compatibili… con gli investimenti. Tradizioni sventrate e imbalsamate per il museo delle cere. Tra il dire il fare c’è di mezzo il nevicare, e quest’anno non ci possiamo lamentare. Quanta neve cade lieve dentro quante scatole craniche, quanta neve di polistirolo scende quando oscillano per dire no e poi sì, come quei souvenir a forma di palla trasparente. Con dentro i capriolini di plastica fatti a Taiwan.  Quei caprioli che piacciono ai bambini e alle signore, e che poi ti servono nel piatto con polenta. Quei caprioli che arrancano nella neve e vengono aiutati a sopravvivere dai bravi cacciatori, per essere ammazzati meglio, un po’ più avanti nella stagione.  Ah, povere bestie. Mica i caprioli, noi.  Come stai, hai una bella cera… Sì bene, benissimo, grazie. Anzi well. Sto proprio well, guarda. C’ho addosso una wellness da far paura. – Duccio Canestrini

This entry was posted in cementificazione di malga ciapela (marmolada - bl). Bookmark the permalink.

One Response to Ma dove vai se il wellness non ce l’hai?

  1. michela says:

    non rovinate le nostre montagne.

Comments are closed.